La vicenda dei minibot, che da giorni riempie pagine dei giornali e talk show, è rivelatrice della difficoltà a coniugare il rispetto delle regole Ue con investimenti e crescita della produzione. Malgrado l’Italia sia sempre additata come poco virtuosa nella gestione della finanza pubblica, negli ultimi 20 anni ha speso meno delle entrate (al netto degli interessi), realizzando surplus primari del bilancio statale, con la sola eccezione del 2009, anno di picco della crisi. Molto meglio non solo della Spagna e della Francia, ma persino della Germania. Non parliamo poi di Paesi al di fuori dell’area euro, come Usa, Regno Unito e Giappone, sempre con deficit primari molto alti. Il problema è che il raggiungimento del surplus primario ha contribuito a ridurre gli investimenti pubblici, la cui contrazione non ha permesso di compensare il calo degli investimenti privati, che risulta il più accentuato in Europa dall’inizio della crisi. A dispetto di questa situazione, la recente lettera della Commissione europea richiama l’Italia a una maggiore disciplina di bilancio, che, come si vede da un decennio, è foriera di recessione, specie quando, come accade oggi, il mercato estero e quindi le esportazioni, su cui ormai è orientata l’economia italiana, calano.
In questo contesto dominato dal Fiscal compact si inseriscono i minibot, che hanno già sollevato le proteste della Bce, attraverso Draghi, e dello stesso ministro dell’economia, Tria. Ma che cosa sono i minibot? Sono titoli di debito cioè buoni emessi dal Tesoro per finanziare il debito dello Stato. A differenza dei Bot normali, non hanno tasso d’interesse e sono senza scadenza. Potrebbero essere utilizzati per pagare servizi o beni legati in qualche modo allo Stato (tasse, benzina, biglietti dei treni, ecc.). In base alla proposta iniziale su cui hanno votato favorevolmente tutti i partiti (compresi Pd e +Europa, che poi hanno fatto un rapido passo all’indietro), i minibot sarebbe dovuti servire a saldare i debiti dello Stato: quelli verso le imprese, i crediti d’imposta pluriennale dei cittadini e i crediti Iva delle Pmi e dei professionisti.
In sostanza i minibot diventerebbero simili al contante. Se lo Stato li usasse per pagare tutto l’arretrato si immetterebbero 70/100 miliardi di euro in minibot, pareggiando l’attuale stock di denaro cartaceo in euro. In questo modo, secondo alcuni, si creerebbe una moneta parallela all’euro. In realtà quello che accadrebbe sarebbe un recupero surrettizio della capacità dello Stato nazionale di emettere moneta autonomamente e così facendo si monetizzerebbe, almeno in parte, il debito pubblico. La monetizzazione del debito consiste nel suo finanziamento non più soltanto mediante entrate fiscali o collocando titoli di stato sul mercato internazionale (con la conseguente possibilità di innalzamento dei tassi d’interesse), ma anche attraverso l’emissione di moneta da parte dello Stato.
Appare abbastanza evidente che si tratta di un aggiramento della struttura dei trattati e dell’euro, che aliena queste funzioni dallo Stato alla Bce. Sono queste le vere paure nascoste dietro la polemica sui minibot e per questo si sono levati subito gli scudi contro la proposta, sostenuta dalla Lega. Addirittura alcuni paventano che i minibot siano l’anticamera dell’uscita dall’euro. Una conclusione francamente azzardata, perché una vera uscita dall’euro comporta la ripresa del controllo statale su tutto il sistema monetario a partire dalla Banca d’Italia. I minibot proposti dalla Lega rappresentano una provocazione o tutt’al più un granello di sabbia teso non tanto a uscire dall’euro, quanto a rimettere in discussione i meccanismi europei, o, più precisamente, a ottenere sul piano negoziale condizioni migliori per alcuni settori del capitale e della borghesia italiana penalizzati dalla Ue e dalla concorrenza francese e tedesca. Oltre ovviamente a dare una boccata di ossigeno a alcuni dei settori sociali, Pmi e professionisti, che fanno parte del blocco sociale della Lega e che sono i primi a trovarsi in difficoltà con il rallentamento dell’economia. I minibot possono rappresentare una valida alternativa a un credito bancario che rimane asfittico, anche a causa delle regole europee, per le piccole e medie imprese che, a differenza delle grandi imprese multinazionali, non accedono ai mercati dei capitali internazionali.
In ogni caso, i minibot sono rivelatori di tre fatti:
- che l’euro e i trattati non funzionano e che sono destinati a cozzare in modo ricorrente, e alla fine definitivo, con i limiti di una economia perennemente instabile e stagnante;
- che la sinistra tradizionale e filoeuropeista del Pd non riesce o meglio non vuole trovare alcuna proposta che riesca a spingere a modifiche nella struttura dell’Europa e che, a distanza di più di 10 anni dallo scoppio della crisi, continua a essere aggrappata a una Europa e al rispetto di regole che producono recessione;
- che gran parte della sinistra (anche a sinistra del Pd) si lascia ingabbiare dal confronto sovranismo-nazionalismo contro europeismo, lasciando alla Lega l’iniziativa su decisivi temi economici e sociali.
L’unica vera soluzione ai problemi su esposti è una strategia di uscita dall’euro e dalla Ue. La polemica sui minibot di per sé rappresenta la classica tempesta nel bicchiere d’acqua. Tuttavia, è rivelatrice di problemi enormi, che, in qualche modo, ha il merito di sollevare e che sono riconducibili alla questione del recupero della sovranità monetaria alienata alla Bce. Non sono temi da abbandonare alla Lega. Al contrario, la Lega deve essere contrastata da una rinnovata sinistra di classe proprio mediante la capacità di stare su questi temi anziché lasciarsi rinchiudere su terreni o fittizi o sui quali risulta necessariamente perdente.