I risultati elettorali e del referendum sul taglio dei parlamentari confermano alcuni dati di fondo, mentre di fatto rendono meno immediata la messa in discussione della compagine di governo.
In primo luogo, il dato dell’affluenza alle elezioni Regionali si conferma su una media del 50% degli aventi diritto. Lo stesso vale per il Referendum che si attesta al 53,3% dei votanti contro il 65% dei partecipanti al Referendum del 2016. Questo dato non fa che confermare la potenziale mobilità del voto insieme ad una disillusione sempre più forte di vasti strati della popolazione attanagliati da un crisi che la pandemia ha accelerato in maniera devastante. Sono già circa 850.000 i posti di lavoro che si sono persi in questi mesi e non appena sarà tolto il blocco dei licenziamenti vedremo che il dato reale sarà marcatamente più alto. Questo senza contare che, in particolare per i lavoratori dipendenti delle piccole imprese, la cassaintegrazione è erogata con una lentezza incredibile. Ad oggi sono stati pagati per tutti soltanto le mensilità di marzo e aprile. In sostanza una fetta di lavoratori non riceve la paga da quasi cinque mesi. Insomma la brace sotto la cenere continua ad ardere e prima o poi verrà fuori.
In tale quadro pensare che le elezioni ci consegnino un dato di stabilità è fuorviante. È una stabilità a tempo e moltissimo dipenderà dall’ulteriore sviluppo della crisi sia a livello nazionale che internazionale.
Se la vittoria in Campania, Puglia e Toscana del Centrosinistra, insieme alla vittoria del SI al Referendum, per il momento mette al riparo Conte, da un’attenta analisi del voto il PD non ha assolutamente molto da festeggiare. In Toscana scende rispetto alle scorse regionali dal 46% al 34%, in Veneto dal 16,6 all’11,9%, in Liguria dal 25,6% al 19,9, nelle Marche, dove vince in centrodestra, perde dieci punti percentuali.
Per il Movimento cinque stelle si tratta, invece, di un vero e proprio crollo, con il passaggio anche a percentuali ad una cifra.
Nel centrodestra il confronto tra Fratelli d’Italia e Lega comincia ad avvicinarsi ad un testa a testa. Ancora la Lega è largamente il Partito più votato nella coalizione, ma, sia in termini di leadership sia come forza politica, la vocazione nazionale del partito di Giorgia Meloni sia rafforza sempre di più.
Ed è proprio la dialettica aperta all’interno delle due coalizione che dominerà il dibattito politico dei prossimi mesi. L’instabilità economica e sociale preme sul dibattito interno alle principali forze politiche del Paese.
Aumenterà il confronto aspro tra PD e cinquestelle, si accentuerà lo scontro dentro l’agonizzante movimento di Di Maio e di Di Battista. Sul fronte opposto la straripante vittoria di Zaia tenderà a mettere a confronto la “Lega Nazionale” di Salvini che non sfonda al Sud e la tradizionale posizione autonomista del Presidente veneto.
Il risultato referendario va letto all’interno di questo quadro instabile. L’antipolitica a livello popolare ha ancora una presa piuttosto forte come dimostrano, ad esempio, i risultati nelle grandi città in particolare a Roma dove prevale il NO nei municipi del centro e stravince il Si in periferia. Ed è proprio l’ulteriore passo indietro sul terreno della rappresentanza democratica segnata dal referendum che evidenzia quanto il quadro di crisi e instabilità lavori “spontaneamente” nella direzione opposta di quella che sarebbe auspicabile per gli interessi popolari. Ovviamente a far vincere il SI non è stata né la posizione opportunistica di Zingaretti né l’abbronzatura di Di Maio ma la scia di un rancore sociale verso “la politica”. Nessuno ha fatto una campagna referendaria aggressiva nel fronte del SI neanche nei social network. Nessuna forza politica è stata premiata elettoralmente per averlo sostenuto, come dimostra il disastroso risultato del Movimento cinquestelle.
Sui tentativi elettorali di quel che resta della sinistra di classe sarà possibile dare un giudizio in futuro. Ad occhio la frammentazione che appare sulla scheda elettorale non aiuta a rendere credibile una qualsiasi ipotesi politica a chi sta affrontando quotidianamente la battaglia per la sopravvivenza. In realtà alla luce del quadro che abbiamo davanti lo spazio per candidare un punto di vista alternativo al sistema politico e sociale esistente è potenzialmente ampio ma senza idee chiare, disponibilità al confronto e una comprensione delle gigantesche trasformazioni che ci passano quotidianamente davanti agli occhi, il rischio che questa marginalità permanga a lungo non è affatto scongiurata.