Il 23 gennaio il presidente dell’Assemblea nazionale del Venezuela, Juàn Guaidò, si autoproclama Presidente del Venezuela “ad interim” contro l’attuale governo di Nicolàs Maduro, eletto, lo ricordiamo, nel 2018 col 67,8% dei voti. Un vero e proprio tentativo di colpo di Stato.
Immediatamente il presidente degli USA, Donald Trump, riconosce Guaidò. E, a seguito di lui, un po’ tutto il codazzo dei paesi latinoamericani subalterni agli USA, e, alla fine, anche l’Unione Europea, condannano il “dittatore” Maduro, quando non riconoscono proprio il golpista.
Perché accade tutto ciò?
I motivi sono essenzialmente due.
Il primo risiede nel fatto che il Venezuela è un paese notoriamente ricchissimo di petrolio. Questo è gestito oggi dalla compagnia statale, la PDVSA, la quale, peraltro, esporta il petrolio anche a Cuba -nonostante l’embargo USA- e a condizioni di favore.
Ma naturalmente il petrolio fa gola e le grandi compagnie petrolifere occidentali scalpitano per ottenerne la gestione e fare, così, immensi profitti.
Il secondo motivo riguarda la storia recente del Venezuela.
Da quando Hugo Chàvez andò al potere nel 1999, vincendo le elezioni, ha portato un cambiamento radicale alle precedenti politiche, ispirate al liberismo sfrenato, le quali avevano portato alla miseria il paese.
Chàvez ha iniziato, a poco a poco, il processo di costruzione di ciò che viene chiamato il “Socialismo del XXI secolo”. Il governo bolivariano, sfruttando gli introiti legati al petrolio, ha introdotto tutta una serie di misure sociali a favore dei ceti più deboli. Per la prima volta i numerosi abitanti poveri delle baraccopoli hanno potuto usufruire di assistenza sanitaria gratuita, scolarizzazione (il Venezuela è stato dichiarato dall’ONU paese libero dall’analfabetismo). E’ stato avviato un piano di costruzione di case popolari che ha prodotto la realizzazione di milioni di appartamenti. Oltre a ciò, il salario minimo è stato più volte aumentato.
In politica estera Chàvez si è, via via, sempre più distanziato dagli Stati Uniti e ha stretto legami sempre più forti con paesi invisi a quest’ultimo, quali la Russia, l’Iran, la Cina e altri. Particolarmente forte è il legame, anche ideologico, con Cuba.
La reazione degli Stati Uniti naturalmente non si è fatta attendere e già nel 2002 abbiamo avuto il primo tentativo di colpo di Stato, fallito dopo solo 48 ore, peraltro sufficienti, affinché il governo USA avesse riconosciuto, già allora, il golpista.
Da allora i tentativi di rovesciare la Rivoluzione Bolivariana sono stati numerosi, per vie legali e soprattutto illegali, facendo leva sui ceti più benestanti del paese, i quali peraltro detengono il controllo di quasi tutti i principali mass-media, oltre che del commercio.
La stessa malattia che ha portato Hugo Chàvez alla morte ha suscitato non pochi sospetti di avvelenamento.
Deceduto Chàvez, il governo bolivariano è passato al suo ex vice, Nicolàs Maduro.
Egli ha proseguito imperterrito le politiche del suo predecessore, ampliandole.
Purtroppo tale compito non è stato semplice per Maduro. Egli non godeva, almeno inizialmente, dello stesso consenso che aveva avuto Chàvez, personaggio, questo, che possedeva un carisma ineguagliabile.
Ma i problemi maggiori per il neo-presidente sono dovuti al calo del prezzo del petrolio. Essendo il Venezuela un paese con un’economia basata in pratica quasi solo sul petrolio, il relativo calo del prezzo ha messo in difficoltà l’economia del paese caraibico.
Inoltre, negli anni scorsi la grande ondata progressista che aveva spirato per gran parte dell’America Latina, e che aveva dato ossigeno alla Rivoluzione Bolivariana, è andata esaurendosi e paesi importantissimi, come l’Argentina e soprattutto il Brasile, hanno visto prevalere dei nuovi governi conservatori. E quindi anti-chavisti.
L’America Latina, purtroppo, ha una tradizione secolare di subalternità agli Stati Uniti, i quali hanno sempre imposto governi compiacenti ai loro interessi –spesso dittatori sanguinari, si ricordi il famigerato “Plan Condor” – tanto è vero che il continente in questione viene anche definito il “cortile di casa” degli USA.
Nei primi anni duemila si è verificata, invece, un’anomala ondata progressista e in diversi paesi di quel continente si sono avuti governi di sinistra e che hanno portato avanti un parziale sganciamento dall’oppressione politico-economica yankee, complice, con tutta probabilità, l’attenzione di questi ultimi troppo concentrata sul Medio Oriente. E così abbiamo avuto i coniugi Kirchner in Argentina e Lula prima e poi la Roussef in Brasile, solo per citare i paesi più importanti.
Negli ultimi anni, tuttavia, tale ondata progressista si è andata indebolendo, anche e soprattutto per una rinnovata ingerenza di Washington in quel continente. E quindi i precedenti governi progressisti sono caduti e sono stati sostituiti da altri di stampo conservatore e, ovviamente, filo-USA.
Ciò è potuto accadere grazie anche a veri e propri colpi di Stato giudiziari, come nel caso del Brasile, paese chiave dell’America Latina, dove la Roussef e Lula sono stati messi giuridicamente k.o. per illeciti mai dimostrati, e questo in un paese dove l’illegalità è sempre stata l’abc della politica. Oggi lì ha trionfato il reazionario Bolsonaro, neanche a dirlo anti-chavista di ferro e filo-americano.
Ritornando al Venezuela, le politiche in senso socialista che i governi bolivariani –quello di Chàvez prima e quello di Maduro ora- hanno portato avanti sono state notevoli, come abbiamo già accennato. E questo fatto è a maggior ragione importante, poiché è accaduto in un paese del tutto privo di tradizioni politiche che fossero anche solo vagamente di tipo socialdemocratico.
Purtroppo ci sono stati anche degli errori.
Quello più vistoso è stato senza dubbio l’essersi appoggiati troppo sugli introiti che arrivavano nel paese per via del petrolio.
Certo, per un paese di quel tipo non era semplice cambiare radicalmente struttura economica, soprattutto, poi, tenendo conto del fatto che gran parte della -già modesta- borghesia imprenditrice era ovviamente contraria ai governi bolivariani e di certo non ha minimamente collaborato in tal senso. Anzi, sono state chiuse non poche fabbriche.
Un altro errore spesso rilevato è stato il fatto che nel paese è stato lasciato troppo spazio alla borghesia conservatrice, la quale, ad esempio, controlla tuttora il 90% dei mass-media locali, oltre che settori importanti dell’economia. Non è un caso che l’economia venezuelana, nonostante il petrolio, vada molto male e parecchi prodotti, anche di prima necessità, sono rari, quando non introvabili.
C’è addirittura chi si spinge a dire che occorreva subito instaurare una dittatura del proletariato, che reprimesse fin da subito la borghesia controrivoluzionaria.
Pure qui, però, al di là della retorica ideologica, andrebbe valutato quanto ciò sarebbe stato oggettivamente fattibile. In Venezuela, infatti, non abbiamo avuto una vera e propria rivoluzione “classica”, promossa da un partito organizzato e inquadrato ideologicamente e anche militarmente, in grado di sostenere una quasi certa guerra civile, che sarebbe, in quell’ipotesi, scoppiata fin dai primissimi mesi del governo Chàvez. Inoltre, una repressione esplicita e massiccia della borghesia avrebbe trovato un contesto internazionale ferocemente contrario, e questo in un periodo, come i primi anni 2000, in cui la Russia e la Cina erano molto più deboli, rispetto ad oggi (e forse la stessa Russia, che non è più l’URSS, sarebbe stata contraria all’ipotesi di una “dittatura del proletariato”).
Al di là di errori, limiti, problemi e rischi, la Rivoluzione Bolivariana ha acquistato in questi anni un significato importantissimo per i comunisti e il movimento operaio mondiale. Per la prima volta dopo il crollo del Socialismo Reale dell’89-91, infatti, si ripresenta sulla scena l’attualità della prospettiva socialista, anche se su scala ridotta e locale (il Venezuela, in termini di grandezza e peso economico-politico, non potrà mai reggere il confronto con la perduta Unione Sovietica).
E dietro l’attacco degli USA e dell’UE c’è, di sicuro, anche questo motivo. Ed è anche per questa ragione che la sinistra dovrebbe sostenere senza alcun dubbio il governo democratico e popolare di Nicolàs Maduro.
Ritornando alla cronaca, il tentativo di colpo di Stato di Guaidò si può considerare, ad oggi, tecnicamente fallito. Ossia, la maggioranza della popolazione venezuelana, così come l’esercito, continua a sostenere il governo legittimo di Maduro. Anche a livello internazionale, l’ONU, nonostante le pressioni degli USA, non ha accettato la risoluzione proposta da Washington di condanna contro Maduro.
Purtroppo Trump ha già detto a chiare linee che, al fine di rovesciare il governo bolivariano, non esclude anche l’opzione militare. E sembra che già migliaia di soldati americani si stiano dirigendo in Colombia, paese confinante col Venezuela, nonché caposaldo degli USA.
Ma sconfiggere militarmente il Venezuela bolivariano non sarà semplice, tanto più che Russia e Cina non staranno a guardare.