L’esito dell’elezione del Presidente della Repubblica ad un occhio attento poteva risultare già prevedibile all’indomani della famosa conferenza stampa senza veli in cui Draghi ha chiaramente messo sul tavolo la sua di candidatura. Un’ambizione che, peraltro, era più di un’ipotesi non appena “super Mario” aveva fatto il suo ingresso a Palazzo Chigi. La sua investitura quale garante, o commissario, dell’establishment euro atlantico aveva ed ha nei due ruoli apicali della Repubblica il punto di approdo, almeno nelle intenzioni, non di breve periodo. Una scelta che nasce non solo dalla evidente debolezza del sistema politico italiano ma dal combinato disposto di questo assunto con il terremoto globale in cui è immerso anche il nostro Paese.
Non c’è dubbio, però, che la sua eventuale elezione a Presidente, con il PD quale maggiore sponsor parlamentare, non avrebbe garantito automaticamente un governo con la stessa maggioranza, con la conseguente possibilità dello scioglimento anticipato delle Camere.
Tale contesto ha sicuramente scatenato in una parte rilevante del parlamento, primi tra tutti larghissimi settori del Movimento 5 stelle, la spinta a trovare la soluzione comoda che potesse tenere a galla la legislatura fino alla sua conclusione insieme alla composizione di un quadro che lasciasse più porte aperte per il futuro.
In tutto il percorso gli schieramenti, logorati da un anno di governo unitario, hanno mostrato non solo la loro debolezza ma quella dell’intero sistema politico. Il tentativo di Salvini di mantenere il doppio ruolo di capo della coalizione del centrodestra assieme a quello di tessitore per la maggioranza di governo, con il fine di eleggere un capo dello stato non proveniente dalle fila del centro sinistra, è naufragato e con esso la sua coalizione è andata in pezzi. Il PD, invece, incapace di andare oltre l’ipotesi principale di sostenere Draghi, ha giocato di rimessa nascondendo abilmente le proprie contraddizioni o riversandole nel solo campo del Movimento cinquestelle in cui Conte e Di Maio si muovono sempre più speditamente verso una collisione.
Allo stesso tempo, il desolante livello del ceto politico costruitosi con la seconda repubblica manifesta l’incapacità di autoriprodursi portando a ricorrere in queste situazioni a quel che resta della prima (Napolitano, Mattarella, Casini) mantenendo nella precarietà ogni equilibrio che momentaneamente costruisce.
Se è vero che tale contesto offre sempre più spazio ad ipotesi che possono portare ad un ulteriore arretramento del sistema democratico, con l’emergere sempre più insistente del dibattito sul presidenzialismo, è anche vero che lascia un potenziale margine anche alla possibilità di una critica complessiva che ridia voce ad un’alternativa politica, economica e sociale.
Lo stesso scenario di breve periodo evidenzia che tale opportunità è tutt’altro che assente. Le dinamiche neocentriste che hanno visto in Forza Italia, Italia Viva (ora più vicina al PD) e nel nuovo spolvero di Casini dei riferimenti in questi giorni, insieme alla possibile disintegrazione del Movimento cinquestelle e il “liberi tutti” nel centrodestra, porteranno il dibattito di quest’anno a concentrarsi sull’ennesima modifica della legge elettorale probabilmente in senso maggiormente proporzionale.
La debolezza del sistema politico sopra esposto porta continuamente a rivedere la forma elettorale per provare a rendere compatibili le esigenze di “stabilità” con quelle della composizione e la forza sempre più mutevole dei soggetti politici in campo. Non è da escludere che si punterà ad una legge che possa portare a consolidare Draghi come presidente del consiglio ben oltre questa legislatura. Fallita la sua elezione immediata a Presidente, la presenza di Mattarella garantisce, infatti, la chance di mantenere l’obiettivo iniziale di tenerlo al timone in uno dei due ruoli apicali del Paese: o con una futura staffetta al Quirinale o direttamente a Palazzo Chigi.
Il terremoto globale che la pandemia ha accelerato si è aggravato e si sta aggravando in questi mesi con la crisi Ucraina, l’inflazione e tutte le conseguenze di un’instabilità mondiale che pesa e peserà sui lavoratori e la gran parte della popolazione anche nel nostro Paese. Sembra difficile che le attuali forze politiche siano in grado di affrontarle con gli schieramenti tradizionali.
Tale contesto dovrebbe essere da sprono a ridare voce, organizzazione e protagonismo a coloro che sono esclusi dal dibattito pubblico affinché tornino a riprendersi lo spazio che meritano.
Questa necessità è fuori discussione, come dimostrano gli studenti medi che proprio mentre il Parlamento discuteva del Presidente della Repubblica urlavano tra i manganelli della polizia che alla loro età si deve andare a scuola senza il rischio di morire di lavoro.