I risultati elettorali delle amministrative in Italia e le legislative in Francia sono da considerarsi un’istantanea su una realtà che muta velocemente, spinta dalla crisi in cui l’Europa e il mondo sono completamente immersi.
Senza dubbio l’accelerazione dei processi oggettivi, che prima la pandemia e poi la guerra hanno impresso e stanno imprimendo sul terreno dell’oggettività dei rapporti economici e di potere a livello globale, si sta traducendo in un riflesso soggettivo aperto a scenari che potranno avere risvolti importanti già nel breve e nel medio periodo.
Mai come ora lo schieramento atlantico è esplicitamente la partita in gioco nei Paesi europei. Lo è sempre più nel dibattito pubblico. In tale dibattito questo aspetto è stato negli ultimi 30 anni messo sullo sfondo, o meglio, nascosto pur avendo determinato, come ovvio, moltissimo. Da ultimo non si può interpretare diversamente l’avvicendamento di Conte con Draghi. La guerra era alle porte, seppure nessuno vi prestasse attenzione e il premier della “via della seta” non poteva restare al suo posto. Nel frattempo gli effetti di pandemia e guerra hanno morso la carne viva del Paese e le elezioni rendono evidenti quanto sotto la cenere i carboni ardenti siano sempre più roventi.
Il dato comune tra elezioni francesi e italiane è l’astensionismo. Un elemento su cui le classi dominanti hanno scommesso con sistemi elettorali passivizzanti. In questo caso, però, l’astensionismo potrebbe nascondere tutt’altro che una passività dei settori popolari che si sentono aggrediti da anni di peggioramento delle proprie condizioni di vita, a cui l’inflazione galoppante darà un ulteriore colpo di grazia. Il segno di come si manifesterà la rabbia per un contesto che peggiora ogni giorno non è scontato in maniera deterministica ma è un dato che si percepisce.
Nello specifico in Italia, dove ad ogni tornata elettorale diminuisce il numero dei votanti, a destra prevale la Meloni a scapito della Lega, che paga le parole ondivaghe del suo leader e i suoi goffi tentativi di rispondere ad una base sociale insofferente nei confronti del sostegno a Draghi. Al centro Renzi e Calenda a suon di propaganda, a dispetto di risultati molto meno roboanti di quelli reali (nella maggioranza delle amministrative non sono presenti e i numeri sono molto al di sotto di quelli “cantati” da Calenda), si candidano a dare spazio all’opzione preferita dall’establishment di un Draghi bis nella prossima legislatura. Un’ipotesi che, forse, desiderano un po’ tutti per non trovarsi a gestire da soli la bomba sociale che potrebbe esplodere. Certamente tale ipotesi non dispiacerebbe al Partito più atlantista, stabilizzatore ed attualmente il più allineato ai voleri di Washington che è il PD di Letta. I risultati del PD sono di tenuta sul piano elettorale e lo candidano ancora una volta ad essere il perno di un campo di Governo largo o stretto che sia.
Come nella Lega, dove i ferri diventano sempre più corti e Salvini ancora più piccolo, in maniera più evidente il disastroso risultato elettorale sta portando alla definitiva esplosione del Movimento 5 stelle. Fine prevedibile. La rottura con Di Maio, ormai conclamata, arriva sulla questione delle armi all’Ucraina e questo, se avrà effetti in Parlamento con un voto, potrebbe dare al Paese una scossa su un argomento così cruciale, attivando una potenziale battaglia nel discorso pubblico ufficiale perché l’Italia cambi posizione sulla guerra che ci sta portando al disastro.
Ed è qui che si lega il grandissimo risultato di Melanchon in Francia da ieri primo gruppo di opposizione nell’Assemblea nazionale francese. Tale risultato, insieme all’affermazione in termini di seggi della Le Pen, la cui affermazione viene pompata dai media italiani più di quanto si faccia per quella ben più ampia di Melenchon, può aprire lo spazio perché la Francia sia spinta a sganciarsi con più forza dalle posizioni degli USA oltre alla possibilità di consolidare uno sbocco politico ai vasti settori popolari francesi che lo sostengono. Ed i due elementi devono rimanere connessi: la geopolitica senza lotta di classe ha poco senso per chi si prefigge un cambiamento reale.
Non è da sottovalutare l’effetto che potrà avere sul resto della sinistra in Europa. In questo senso da questa tornata elettorale si evidenziano, soprattutto con il risultato francese, segnali di possibili crepe molto più profonde nell’apparente unità tra i Paesi Europei. Prevale, ad oggi, il ricatto di Washington ma se la Francia fosse spinta più la, la Germania non rimarrebbe ferma. La pressione interna potrebbe vincere su quella esterna e le carte in tavola tra i principali Paesi europei e gli USA potrebbero cambiare.
In Italia ci aspettiamo che Conte e i suoi vadano fino in fondo e le soggettività della sinistra di classe si pongano l’obiettivo di rilanciare un grande movimento per la pace, il pane e il lavoro che trovi già dalle prossime politiche anche una nuova rappresentanza, oggi completamente assente. Non deve essere il solito obiettivo fine a sé stesso che ha sgretolato la sinistra italiana in passato ma elemento di una necessità diventata urgente. Infatti, se la rappresentanza che si oppone alla guerra restasse totalmente in mano ad instabili saltimbanchi come Conte e compagnia non c’è da essere sicuri che in Italia si segua la scia di quanto si sta affermando in Francia, dove è inequivocabile il segnale di risveglio.