La guerra in Ucraina ha creato difficoltà economiche alla Ue, tra cui la crisi energetica e l’aumento dei costi di approvvigionamento di gas e petrolio, ma ha determinato grandi vantaggi per l’economia degli Usa. Ad avvantaggiarsi sono due settori molto importanti del sistema produttivo statunitense: gli armamenti e l’estrazione di gas e petrolio.
Già nel 1961 il presidente statunitense Dwight Eisenhower aveva messo in guardia l’opinione pubblica sul Complesso militare industriale, che, attraverso l’integrazione tra Forze armate e industria, rappresentava un centro di influenza importante sulle decisioni politiche degli Usa. La forza del Complesso militare industriale si è mantenuta intatta fino a oggi: l’industria bellica impiega ben 800mila addetti e, da sola, la prima impresa bellica del Paese, la Lockheed, riceve più fondi pubblici del Dipartimento di Stato, che è in pratica il ministero degli esteri statunitense, e di Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, messi insieme.
Grazie alla guerra in Ucraina, il Complesso militare industriale sta sperimentando una crescita esponenziale. Dei 50 miliardi di dollari in aiuti militari arrivati a Kiev oltre 30 vengono dai soli Stati Uniti. I rifornimenti di armi e di munizioni stanno assottigliando le riserve delle Forze Armate statunitensi, mettendo in difficoltà, secondo alcuni analisti, la capacità potenziale degli Usa di combattere, oltre al conflitto in Ucraina, un secondo conflitto in Estremo Oriente, che potrebbe scaturire dalla contesa con la Cina su Taiwan. Quindi, bisogna ricostruire le riserve di armi e munizioni.
Di conseguenza, le fabbriche di armamenti sono travolte dagli ordini: la sola produzione di proiettili d’artiglieria è salita del 500%. Per questa ragione le principali società attive nella produzione bellica stanno allargando la loro base produttiva. Ma ad aumentare non è solo la produzione: le imprese belliche negli ultimi sei mesi hanno guadagnato in borsa spesso oltre il 10%.
Le imprese belliche possono contare anche sull’aumento del budget per la difesa degli Usa, che con Biden ha continuato a salire, e che raggiungerà nel 2023 gli 858 miliardi di dollari, pari al +10% rispetto al 2022. Inoltre, il budget statunitense è varie volte superiore a quello degli altri stati. Nel 2021, secondo il Sipri, la Cina aveva un budget militare di 293 miliardi di dollari e la Russia di 65,9 miliardi. La guerra in Ucraina sta determinando una nuova corsa agli armamenti che vede coinvolta anche la Ue. Quest’ultima sta studiando meccanismi per aumentare le capacità di produzione dell’industria europea. In particolare, verrà utilizzato un miliardo proveniente dal Fondo europeo per la pace (sì proprio da un fondo per la pace!) per rifondere gli stati europei fino al 50-60% di quanto verrà convogliato in Ucraina.
L’altro settore dell’economia Usa, oltre a quello degli armamenti, a beneficiare della guerra è quello dell’estrazione mineraria. Gli Usa dallo scoppio della guerra si sono rafforzati come super-potenza del gas e del petrolio non solo diventando il primo produttore mondiale ma anche, a livello geostrategico, diventando il fornitore privilegiato dell’Ue. Dagli Usa l’Ue non ha mai ricevuto tanto gas, ma ora anche il petrolio arriva in quantità record, da quando la Ue ha deciso l’embargo petrolifero contro la Russia.
Verso la fine di febbraio l’export di greggio Usa ha raggiunto circa 5 milioni di barili al giorno (mbg), a fronte di una media di 3,6 mbg nel 2022. Da marzo in avanti l’Europa è diventata, per gli Usa, il primo mercato con 1,6 mbg. Allo stesso tempo gli Usa sono diventati il primo produttore mondiale di greggio con 11,9 mbg, superando l’Arabia Saudita (10,6 mbg) e la Russia (10,7 mbg). Inoltre, il petrolio statunitense entrerà nel paniere del Brent (benchmark un tempo riferito al petrolio del Mare del Nord), acquistando un’influenza ancora più forte sulla formazione dei prezzi dell’energia a livello internazionale.
Per quanto riguarda le esportazioni di gas liquefatto (Gnl), gli Usa hanno superato Qatar e Australia. Anche per il gas l’Europa è diventata la prima destinazione dell’export statunitense, che ha soddisfatto la metà delle importazioni europee di gas liquefatto, crescendo del 60% e sfiorando i 140 miliardi di metri cubi una volta che il gas è stato rigassificato, vale a dire una quantità simile a quella che un tempo arrivava dalla Russia via gasdotto.
Le forniture di gas e petrolio statunitensi sono, però, molto più costose di quelle russe, anche per le difficoltà tecniche e logistiche dovute alla distanza che incide molto sul prezzo del Gnl, visto che il combustibile viene prima liquefatto, poi trasportato via nave e infine rigassificato tramite impianti che richiedono grandi investimenti. Di conseguenza i costi sono notevolmente maggiori di qualsiasi fornitura che arrivi mediante gasdotti già esistenti e quindi già ammortizzati.
Ma il problema non è rappresentato solo dai costi più alti. La dipendenza dal Gnl, aumenta la dipendenza della Ue dagli Usa. Il Gnl diventa parte dell’arsenale di armi non letali a disposizione della Nato. Inoltre, il trasporto via mare del Gnl aumenta la dipendenza dal commercio marittimo e dalla sicurezza delle rotte di rifornimento, che viene garantita dalla Marina militare statunitense, che è la più potente del mondo con le sue super-portaerei nucleari.
Sul piano dell’energia, gli Usa tendono a stabilizzare il rapporto con l’Europa, stipulando contratti di fornitura pluriennali. In questo modo le compagnie energetiche statunitensi mirano a cavalcare l’onda lunga di crescita dell’export del petrolio e soprattutto del gas.
In sintesi, la guerra in Ucraina danneggia i Paesi europei, in particolare l’Italia, che ha registrato, a causa dell’aumento del costo delle importazioni di petrolio e soprattutto di gas, il primo deficit dell’interscambio commerciale con l’estero da dieci anni a questa parte. Ancora più grave è la dipendenza geostrategica dagli Usa, diventati i principali fornitori di materie prime energetiche dell’Europa. Al contrario, la guerra in Ucraina corrisponde, oltre che agli interessi geostrategici degli Usa, anche agli interessi economici del loro apparato produttivo, di cui il complesso militare industriale e le estrazioni minerarie rappresentano parti importanti. Per queste ragioni gli Usa non hanno interesse a incoraggiare un processo di negoziazione tra le parti in guerra che conduca alla fine delle ostilità.