Anche le ultime elezioni in Emilia-Romagna e Umbria hanno evidenziato l’inesorabile restringimento della base elettorale del Movimento Cinquestelle.
Il movimento di Grillo nell’indistinta protesta contro la “casta” raccoglieva una vasta ed eterogenea composizione di classi sociali attaccate da anni di austerity e dalla crisi del 2008 e drenava voti a destra e sinistra, pescando fortemente nell’astensionismo.
Dopo le esperienze di governo con la Lega e con il PD il M5Stelle ha visto perdere circa la metà dei voti in diversi passaggi elettorali. Quei voti hanno fatto ritorno verso l’astensionismo e hanno visto un accumularsi di consensi verso destra. Fratelli d’Italia, da questo punto di vista, ha riaccolto verso di sé gli elettori di destra che erano confluiti verso Grillo togliendo altrettanti consensi alla Lega di Salvini.
Assistiamo ormai da anni a una fluidità del consenso frutto della crisi economica e sociale aperta nel Paese e dell’assenza di soggetti strutturati politicamente e ideologicamente. Tutti i soggetti in campo accettano l’esistente con sfumature diverse.
L’elezione della Schlein a segretaria del PD ha determinato, nella percezione di una parte dell’elettorale grillino, lo spostamento a sinistra di quel partito dopo i vari Letta e Renzi che ne avevano marcato l’aspetto centrista e “compromesso” con il potere.
Tale percezione ha contribuito allo spostamento dei voti dal M5stelle al PD.
Nel frattempo, dal Covid in poi si è lentamente costruito il percorso che ha trasformato il M5Stelle nel Movimento di Conte, che ha visto la sua affermazione nei confronti di Grillo nel Congresso di pochi giorni fa. La battaglia del comico genovese per ritirare il simbolo va a certificare tale trasformazione.
Con l’esperienza di governo con Conte prima e Draghi poi, il gruppo parlamentare e dirigente dei cinquestelle si è definito intorno all’idea di specificare la sua funzione attorno alla costruzione di un’opzione progressista con una naturale inclinazione al rilancio di un nuovo centrosinistra (o campo largo). Il Sud ancora rappresenta un bacino importante seppure senza risposte e il M5Stelle rischia anche lì di conoscere un’ulteriore vertiginosa discesa.
Tale inclinazione verso un nuovo centro-sinistra cozza fortemente con i consensi che, come già rilevato, non fanno che scendere. Probabilmente presentarsi come una copia del PD un pochino più di sinistra non premia in termini elettorali. L’ala sinistra del “centrosinistra” sembra occupata da AVS restringendo anche in quello spazio i margini di ripresa.
In assenza di progetto la radicalità resta fine a sé stessa. Per questo il rischio che il M5stelle vada esaurendosi è più di un’ipotesi.
Dopo aver perso voti a destra, a sinistra e verso l’enorme astensionismo, l’unico motivo per cui un soggetto come quello di Conte potrebbe ancora trovare un senso è l’assenza di una forza in grado di indicare in maniera credibile un’alternativa radicale all’esistente. La distanza su Ucraina e politica estera con il Pd sarebbe da sola sufficiente ad aprire una voragine tra le due forze se non fosse prevalente un’ottica tatticistica. C’è da aggiungere che la crisi drammatica in Germania e in Francia, insieme ai dazi dell’era Trump, aggraveranno la già compromessa situazione economica e sociale del continente e con esso del nostro Paese. Ad oggi in Italia con la crisi Stellantis alle porte e un Governo impotente di fronte a tali dinamiche non si vede come i settori popolari potranno difendersi politicamente e socialmente da ciò che si preannuncia come un ulteriore arretramento di diritti, occupazione e salari reali.
In questo senso, probabilmente, la sinistra di classe dovrebbe cimentarsi ad ingaggiare una relazione politica con il movimento di Conte provando a creare le condizioni perché alcune parole d’ordine possano far lievitare un dibattito pubblico fertile che possa costruire una svolta nella fragile opposizione sistemica pur presente nel Paese. Una spinta in questa direzione porterebbe la stessa AVS a declinarsi su posizioni più nette, non senza fibrillazioni interne tra le principali componenti (Verdi e Sinistra Italiana) che soprattutto in politica estera divergono e non poco. Il PD di Schlein troverebbe qualche ostacolo a presentarsi come dominus dell’opposizione senza poter nascondere o mettere in secondo piano i dossier su cui, in realtà, con il Governo Meloni ha più motivi di convergenza che di divergenza.
Questa breve riflessione non è una speranza ma richiama alla necessità della politica per provare a riflettere su come far uscire chi oggi si oppone all’esistente da recinti ormai troppo ristretti e completamente autoreferenziali.