Ormai dovrebbe essere noto un po’ a tutti il fatto che l’America Latina da circa una ventina di anni a questa parte sta intraprendendo un percorso che dovrebbe portare in futuro alla graduale emancipazione dalla sua storica condizione di “cortile di casa” degli Stati Uniti, ossia dalla sua sottomissione politico-economica nei confronti degli Yankees. Il che finora ha significato tra l’altro l’aver subito spesso colpi di Stato e feroci dittature, nonché uno spietato sfruttamento economico, che ha ridotto in miseria un continente, al quale le risorse non mancherebbero affatto.
Questo percorso di emancipazione è un processo necessariamente lungo, difficile e non privo di contraddizioni, di temporanee battute di arresto, quando non indietreggiamenti, dovuti a vari fattori, tra i quali i vari golpe che, sebbene forse un po’ meno cruenti di un tempo, tuttavia continuano a prodursi, come si è visto di recente con la destituzione coatta, in Perù, del presidente eletto Pedro Castillo e con la sanguinosa repressione dei movimenti popolari di protesta da parte del nuovo governo golpista e filo-USA di Dina Boluarte.
Nonostante le difficoltà, tale processo tuttavia prosegue, si evolve, si sviluppa e si allarga sempre più, arrivando a coinvolgere paesi che in precedenza ne erano esclusi, come il già citato Perù, il Cile, il Messico e la Colombia.
La recente vittoria in Brasile di Lula Ignacio Da Silva, più noto semplicemente come “Lula”, segna un momento importante di rafforzamento della tendenza di cui sopra, sia per le sue posizioni socialmente progressiste – a differenza del suo predecessore Bolsonaro – sia per il suo orizzonte politico a livello internazionale.
Recentemente, al vertice della Celac (Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi) tenutosi nel gennaio scorso a Buenos Aires, Alberto Fernandez, presidente dell’Argentina e Lula hanno stretto un importante accordo per la creazione di una moneta unica tra i due paesi.
Ma la vera proposta è quella di allargare, in prospettiva, tale iniziativa anche agli altri paesi latinoamericani e di iniziare un percorso che vada in direzione di una futura realizzazione di una moneta unica per tutto il continente (che potrebbe chiamarsi “Sur”), come strumento economico finalizzato esplicitamente a sganciarsi dalla dipendenza dal dollaro statunitense (non dimentichiamoci che una delle principali cause del famoso default argentino nei primi anni 2000 fu dovuto proprio al fatto che il Peso Argentino era stato agganciato alla valuta USA).
Il Venezuela di Nicolas Maduro già si è detto pronto ad accogliere la proposta e reazioni favorevoli si sono avute anche da parte del Cile. Solo il presidente del Messico Obrador si è detto scettico, ma va considerato che tale paese, anche per la sua collocazione geografica, ha forti legami con Washington.
Tale proposta non è cosa da poco, né priva di rischi: l’Iraq di Saddam Hussein – tanto per fare un esempio – venne invaso e bombardato e quest’ultimo impiccato proprio a seguito del progetto di passare all’euro per commerciare il petrolio, al posto del dollaro.
Certo, non basta la sola valuta per emanciparsi dal dominio del dollaro. L’America Latina infatti negli anni scorsi ha allacciato e rafforzato in misura via via crescente i suoi legami con paesi quali la Cina, la Russia, l’India, l’Iran e altri paesi soprattutto asiatici. E non solo a livello economico: sono presenti anche collaborazioni di una certa rilevanza persino a livello militare, in modo particolare tra Venezuela e Russia. Il Brasile inoltre è notoriamente un membro fondante del BRICS. E quando si parla di Cina, Russia (e non solo loro) si parla di potenze che già da anni stanno operando sempre più per una de-dollarizzazione degli scambi mondiali e per un mondo multipolare e quindi dovrebbero guardare con favore la proposta di Lula e Fernandez.
La forza e la determinazione di questo pur difficile e faticoso processo di emancipazione dagli Stati Uniti emerge in modo evidente in un episodio recentissimo: poche settimane fa, durante la sua visita in America Latina, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha chiesto a Lula un aiuto per la fornitura di armi all’Ucraina, politica che peraltro la stessa Germania sta attuando con scarsa convinzione e più a causa delle pressioni di Washington. Il leader brasiliano gli ha risposto picche, precisando che loro si rifiutano di inviare armi, umiliando così il suo omologo tedesco. Un identico rifiuto Scholz l’ha ottenuto da parte di Fernandez e dal presidente della Colombia, Gustavo Petro.
Il mondo sta proprio cambiando.