CINA E ARABIA SAUDITA: UN INCONTRO EPOCALE

Scarso risalto è stato dato dai nostri TG e dai quotidiani ad un evento che si potrebbe considerare storico: la visita del capo di Stato cinese Xi Jinping in Arabia Saudita al principe ereditario Mohammed Bin Salman. Gli accordi usciti fuori da quest’incontro sono tutti di natura economica, ma con fortissime ricadute sul piano geo-politico a livello mondiale. Nello specifico sono stati firmati 34 contratti per un valore complessivo di circa trenta miliardi di dollari.

Fra questi di grande importanza è l’accordo tra il gigante cinese Huawei – vero e proprio spauracchio per gli USA – e il ministro delle comunicazioni saudita. Di non minore peso è la costruzione di una fabbrica di automobili elettriche nel paese arabo da parte di Enovate Motors, azienda del Dragone. Naturalmente un ruolo altrettanto centrale è dato dalla fornitura di greggio saudita a Pechino, notoriamente affamata di energia. In tutti questi casi, stiamo parlando di contratti di lungo termine, i quali rivestono dunque una valenza strategica.

Xi Jinping inoltre ha preso parte ai vertici, tenutisi in quei giorni, dei Paesi Arabi e dei Paesi del Golfo, rafforzando le relazioni con tutte le monarchie petrolifere e in ultima analisi con tutto il Medio Oriente. L’importanza epocale dello sviluppo del partenariato tra Cina e Arabia Saudita sta nel fatto che intanto la seconda, a partire dal dopoguerra e fino a qualche anno fa, era un’alleata di ferro degli Stati Uniti e degli altri paesi dell’Occidente. Che il clima stesse – da questo punto di vista – per cambiare era già emerso nei mesi scorsi, quando Riad aveva rifiutato di aumentare la produzione di greggio, come richiesto da Washington, per mettere la Russia in difficoltà, nonché dagli accordi stipulati da Bin Salman con la stessa Mosca.

Fino a qui non abbiamo ancora parlato di un elemento ancora più decisivo uscito fuori da questo incontro, ossia quello che permetterà alla Cina di comprare petrolio e gas pagandoli non più in dollari, bensì in Yuan. È un potente colpo – in prospettiva forse mortale – al Petrodollaro e quindi in ultima analisi al ruolo di moneta di scambio internazionale rivestito nei decenni scorsi dalla valuta degli USA, cosa che aveva permesso finora di alimentare l’economia americana e l’egemonia di Washington a livello mondiale. Anche perché non si tratta di un fulmine a ciel sereno, ma avviene dopo una serie di precedenti accordi di stampo simile decisi questo stesso anno fra paesi del calibro di Russia, India, Iran e altri ancora, in cui il dollaro viene gradualmente messo in sordina e sostituito in misura crescente dalle valute dei relativi paesi. Teniamo presente inoltre che la de-dollarizzazione si tradurrà in un depotenziamento dello strumento economico privilegiato – quello delle sanzioni – con cui gli Stati Uniti e i paesi occidentali hanno finora imposto, o tentato di imporre, le loro regole (imperialiste) al resto del mondo.

Notizie come queste andrebbero messe in debito risalto e dovrebbero suscitare grande interesse e dibattito, dal momento che mettono in luce dinamiche, le quali sono destinate a mutare profondamente gli equilibri di potere a livello mondiale, mentre invece, chissà perché, in Italia (e non solo da noi) si preferisce ignorarle o al massimo trattarle come notiziole di scarso peso.