Il recente provvedimento del governo di Xi Jinping, ossia la sanzione-record di 18,2 miliardi di yuan (2,8 miliardi di dollari) nei confronti del gigante finanziario Alibaba, è l’ultimo atto di un conflitto che si sta protraendo da almeno due anni a questa parte.
La multa è stata a comminata dall’Amministrazione Statale per il Controllo del Mercato, ossia l’antitrust cinese, per sfruttamento della posizione di monopolio da parte del colosso dell’e-commerce.
Questo provvedimento si inserisce nel tentativo, da parte del governo di Pechino, di limitare lo strapotere che ha acquisito la società Alibaba e il suo proprietario, il multimiliardario Jack Ma, considerato il Jeff Bezos (padrone di Amazon n.d.a.) cinese. Un potere che spazia dall’e-commerce alle realtà multimediali, al sistema finanziario, dato che Alibaba possiede il colosso finanziario Ant.
A tal proposito, Xi Jinping tenta di costringere Alibaba a cedere le sue partecipazioni nel mondo dei mass-media ed in modo particolare del South China Morning Post. Al governo, infatti, non sfuggono le enormi ed inquietanti potenzialità che il controllo, da parte del colosso Alibaba, sui dati di centinaia di milioni di cinesi, sommato a quello mediatico, potrebbero conferire al magnate in questione.
La “guerra” che il governo di Pechino sta conducendo contro Alibaba e Jack Ma per limitarne il potere e tenerlo sotto controllo è solo una parte dell’attività che Xi Jinping sta svolgendo per tentare di mettere freno a tutti quegli imperi economici, i quali rischiano di acquisire un potere economico e mediatico – e quindi potenzialmente anche politico – talmente smisurato, da sfuggire al controllo dello Stato. Un altro di questi colossi presi di mira dal governo, è Tencent (che possiede tra l’altro Tik Tok) e altri ancora.
Il braccio di ferro che vede protagonisti da una parte il governo cinese, e, dall’altra, grandi capitalisti come Jack Ma, è indicativo di una realtà, come la Cina, che in effetti conosciamo assai poco e sulla quale sarebbe necessario approfondire l’analisi.
Ci sarebbe intanto da rilevare come una simile politica non ha alcun riscontro in nessun paese occidentale. Anzi, da noi accade, semmai, il contrario: sono le gigantesche multinazionali a frenare – per lo più con successo – qualunque Stato che provi a fare una politica in qualche modo di contrasto agli interessi di questi colossi. Non solo: esse riescono spesso ad imporre ai vari governi le politiche economiche che fanno comodo a loro, ma anche le politiche internazionali, non escluse quelle che portano alle guerre.
A questo ci sarebbe da aggiungere, poi, il fatto che il Dragone nei decenni scorsi ha portato avanti una politica di rafforzamento del mercato interno, che si è tradotta in un costante aumento del salario complessivo di tutta la popolazione cinese e nella forte riduzione della povertà (stiamo parlando di centinaia di milioni di persone). Povertà che in Occidente, al contrario, grazie alle politiche liberiste, è in costante aumento.
Non intendo entrare qui su questioni teoriche, ossia, sul fatto se la Cina possa considerarsi o meno un paese “socialista” (che, detto così, è forse un’astrazione poco utile), quanto limitarmi a constatare come intanto questo paese sia di fatto molto diverso dai tipici paesi a capitalismo avanzato. In Cina, infatti, vi è senz’altro il capitalismo, e anche molto sviluppato, ma, a differenza di ciò che accade da noi, la grande borghesia finanziaria appare molto lontana dal riuscire ad egemonizzare il potere politico. Anzi, a volte, come vediamo, lo subisce.