Esiste una stretta connessione tra lo strato apicale del capitale, quello più internazionalizzato, e l’Europa dei Trattati e dell’euro, specie nella fase attuale caratterizzata da processi di centralizzazione attraverso le fusioni e le acquisizioni aziendali. L’integrazione europea è funzionale, tra le altre cose, alla centralizzazione in poche mani del potere economico, che ha come necessario corrispettivo la centralizzazione del potere politico in poche mani, cioè negli esecutivi nazionali e negli organismi sovrannazionali non elettivi come la Bce e la Commissione europea.
Recentemente la famiglia De Benedetti, proprietaria di media come la Repubblica e l’Espresso che si sono sempre distinti per l’appoggio al processo di integrazione europea, ha fuso insieme le due holding di famiglia, la Cir e la Cofide, che si occupano, oltre che di editoria, anche di componentistica auto e sanità. Rodolfo de Benedetti, presidente di Cofide e Cir, che per l’occasione è stato intervistato dal Sole24ore, ha espresso chiaramente il suo punto di vista in favore dell’Europa neoliberista dei Trattati:
“Siamo ovviamente preoccupati quando vediamo balenare soluzioni di ripiegamento nazionalistico ai problemi globali di un mondo interconnesso. Un Paese come l’Italia, con 60 milioni di abitanti in un mondo di oltre 7 miliardi, di persone, non può che ragionare in termini di competizione globale. E l’Europa a cui siamo vincolati dai trattati deve essere l’unico riferimento possibile.”
Evidentemente per De Benedetti, e per la classe sociale di cui è espressione, il calo del peso del Pil italiano a livello europeo e mondiale, la decennale stagnazione economica e l’alto tasso di disoccupazione, tutti fenomeni sui cui pesano i vincoli dei Trattati europei, non sono importanti. L’importante è che l’integrazione economica europea garantisca la libertà di circolazione delle merci e dei capitali e la riduzione dei diritti del lavoro, facilitando la riorganizzazione della produzione di cui vanno a beneficiare proprio i capitali più internazionalizzati piuttosto che l’economia italiana nel suo complesso. Tra questi capitali internazionalizzati c’è Cofide, che nel 2018 ha realizzato il 55,5% (1,56 miliardi) dei suoi ricavi all’estero.
Come spesso accaduto nella storia italiana, le famiglie del grande capitale transnazionale sono collegate tra loro. Infatti, anche Elkann Agnelli, attraverso la holding di famiglia, la Exor, partecipa alla Gedi, la società che, appartenente a Cofide, controlla la stampa quotidiana.
De Benedetti afferma, sempre nella stessa intervista, che entrambi, lui e Elkann, si erano posti “la necessità di aumentare le dimensioni delle nostre aziende in un mestiere maturo”. Se questo è vero per la stampa quotidiana è altrettanto vero per una altro settore maturo, quello dell’auto, che con Fca rimane quello di maggiore impegno per la famiglia Agnelli, nonostante le diversificazioni in settori come l’editoria e il real estate.
La Fiat era già da diversi anni una multinazionale il cui baricentro produttivo era fuori dell’Italia. Ora che, dopo l’acquisizione di Chrysler, è diventata Fca, essa realizza la maggior parte dei suoi risultati (il 65% dei ricavi e l’83% dei profitti) nell’area Nafta, cioè nel Nord America, trovandosi invece in difficoltà in Europa. Di fronte alle nuove sfide, come l’auto elettrica, Fca ha bisogno di un partner o almeno di un alleato per condividere gli ingenti investimenti necessari per i nuovi modelli. Per questo si parla di un possibile matrimonio con la francese Psa, che darebbe vita al quarto gruppo mondiale, rendendo possibile a Psa di affacciarsi sul più importante mercato mondiale, quello statunitense, e a Fca di rafforzarsi in Europa.
La tendenza a formare campioni europei (ma anche non europei) e quindi ad aumentare il proprio carattere transnazionale, mediante fusioni e acquisizioni, è condivisa da molte imprese italiane. Spesso però, nonostante la comune appartenenza all’Europa, si verificano contrasti che in qualche caso coinvolgono anche i governi, come in quello della trattativa di acquisizione della francese Stx da parte del gruppo italiano a controllo pubblico Fincantieri. Ma qualche problema lo incontrano anche le imprese private. Tra queste Luxottica di Del Vecchio, che ha di fatto acquisito la francese Essilor, ma che è impegnata in una battaglia per il controllo del gruppo contro il socio francese di minoranza. Una testimonianza del fatto che esiste una dialettica transnazionale/nazionale a livello di capitali, che si sostanzia un accresciuto scontro interno per il controllo della governance delle imprese.
L’integrazione europea è, come allude De Benedetti, funzionale alla riorganizzazione dell’accumulazione capitalistica e in particolare ai grandi gruppi oligopolistici che dominano il mercato globale in questa fase storica. Il punto è che il rafforzamento dei grandi gruppi non avviene certo all’interno del perimetro nazionale, mediante un aumento degli investimenti e dell’occupazione domestici. Al contrario i processi di centralizzazione proprietaria transfrontalieri determinano l’ulteriore “razionalizzazione” della produzione, eliminando posti di lavoro e impianti. Anche per questa ragione non ha senso ritenere che più Europa possa facilitare la ripresa di lotte dei lavoratori né a livello nazionale né a livello internazionale. Al contrario, questa Europa dei capitali rafforza il carattere oppressivo del capitale, indebolendo il lavoro salariato e peggiorando i rapporti di forza a suo sfavore.