Dentro la corsa contro il tempo per far vincere la vaccinazione contro la ripresa dei contagi e consapevoli che l’immunizzazione da Covid-19, se andrà bene in Italia ed in Europa, riguarderà per molto tempo solo una parte della popolazione mondiale, in Italia il dibattito politico è entrato in un loop apparentemente acceso ma capace di rimuovere i nodi strategici e strutturali su cui, invece, l’unanimismo di fatto è completo. Il fuoco dello scontro dialettico tra le forze politiche si concentra su temi di identità mirati a dare ancora un senso alle stesse in forte trasformazione, dando per acquisito il pacchetto dei provvedimenti economici e sociali che ipotecheranno il futuro.
Il DDL Zan, per carità, è dentro un dibattito di civiltà che non può essere rimosso, come la questione del green pass fa parte è una discussione necessaria ma certamente non può essere un centro totalizzante degli schieramenti politici. Su quest’ultimo tema l’obbligo vaccinale sarebbe la soluzione ma la mancanza di vaccini sufficienti e l’ideologia individualista sulla “libertà di scelta” anche quando in gioco c’è una necessità collettiva rendono tale strada completamente ostruita e nessuna forza parlamentare se ne fa portavoce. La stessa discussione sulla giustizia, seppure argomento cruciale, è tutto legato all’identità e al posizionamento delle forze politiche. Ma ognuno di questi temi, seppure non neutrali, toccano la superficie della materia su cui siamo seduti. Basti pensare alla debolezza del confronto sul fatto che, a causa dei brevetti di Big Pharma, la maggior parte dei Paesi al mondo sono e saranno praticamente privi di una campagna vaccinale, con la conseguenza che il virus continuerà a circolare per molti anni, o quanto lo sblocco dei licenziamenti sia solo l’antipasto di questa materia su cui la timidezza del sindacato confederale ha fatto da eco al silenzio “distratto” dei partiti presenti in parlamento.
Questa taratura del dibattito politico è il prevedibile effetto Draghi sulla direzione di marcia che riguarda la gestione del Recovery Fund e delle “riforme” ad esso collegate che rappresenteranno la premessa su cui si innesterà la reintroduzione dei vincoli europei non appena l’emergenza sarà finita. Ma questo effetto ha un peso decisivo sugli stessi assetti complessivi del Paese a partire dall’inesorabile ristrutturazione delle forze politiche. Un’evoluzione interna che fa da specchio alle continue mutazioni del quadro internazionale sconvolto dal Covid 19 nella veste di formidabile acceleratore della crisi globale e incanalato in uno scontro tra potenze mondiali dagli esiti incerti.
Su questo aspetto basti pensare al ruolo del Presidente del Consiglio quale garante dell’alleato americano rispetto alle posizioni originarie, ad esempio nel rapporto con la Cina, del Movimento cinque stelle.
La tregua tra Grillo e Conte è un tentativo di salvare il “salvabile” ma non ha la forza di fermare il terremoto che l’avvento di Draghi, insieme a questi tre anni di governi multicolori, sta causando. L’essenza onnivora del Movimento cinque stelle si sta scontrando con gli effetti sociali della crisi, che tendono ad acuire le contraddizioni di classe e quindi l’impossibilità di tenere “tutto insieme”, e con la spinta a trasformarlo in forza “responsabile” come parte di un nuovo centrosinistra. L’assenza di un progetto di cambiamento strutturale emerge in tutta la sua forza alla prova della politica e a quella del potere.
Per quanto riguarda centrodestra e centro sinistra si tende ad una maggiore convergenza sull’essenziale e il tentativo è proprio ridare centralità a questi soggetti. Lo stesso Salvini, sotto il vigile controllo di Giorgetti, si è riposizionato sui binari imposti dal banchiere a Palazzo Chigi.
Resta fuori solo la Meloni che acquisisce consensi nel suo ruolo di opposizione (nei sondaggi in questi giorni ha per la prima volta superato la Lega) ma che al massimo potrà far valere nelle dinamiche della sua coalizione, senza scalfire la tendenza generale.
Tale contesto si evolve con una parte rilevantissima della popolazione che non esprime una collocazione politica definita ed è priva di una rappresentanza diretta nonché organizzata. Una situazione che se da una parte tende a configurare una forte passivizzazione di massa che favorisce senza scossoni l’ennesimo riassetto politico del Paese, dall’altra rappresenta un magma dentro cui poter ricandidare nel medio e nel lungo periodo una prospettiva dei comunisti e della sinistra di classe. Le dinamiche di conflitto sindacale, nella logistica in particolare, rappresentano un segnale importante ed una strada significativa che può contribuire a ridestare politicamente un conflitto sociale estremamente frammentato e a tratti disperato.
Il tema del rapporto tra crisi, sviluppo delle forze produttive e obsolescenza di un sistema economico fondato sul profitto e la rendita devono con forza tornare centrali ed essere collante dei conflitti che spontaneamente si producono e si produrranno in questa fase e nei prossimi anni.
Da questo punto di vista il ventennale del G8 Genova, affrontato spesso in maniera indecente dai media, ha visto sdoganare, seppure in una forma che ne assorbe il carattere anti-sistemico, la necessità di guardare ai contenuti di quel movimento che, con tutte le contraddizioni che ne hanno impedito un ulteriore sviluppo, rappresentavano una critica di massa al neo liberismo e al modo di produzione capitalistico. Non è un caso se proprio in quel contesto l’America Latina, insieme al ruolo strategico di Cuba e Venezuela, ha visto sviluppare i movimenti sociali che ne hanno cambiato il volto politico degli ultimi venti anni.
Insomma, l’Italia si avvia verso l’ulteriore normalizzazione con la sinistra di classe ridotta ad una nicchia marginale ed ininfluente ma non tutto è perduto perché la storia continua e continuerà ad andare avanti. L’esito è tutto da scrivere e questa è una certezza.