Sono passati già 3 mesi da quando Jair Bolsonaro ha assunto la carica di Presidente del Brasile, dopo aver vinto le elezioni presidenziali nell’ottobre del 2018.
Certo, si è trattato di una vittoria fin troppo facile, dal momento che il più temibile avversario, Lula, era stato messo fuorigioco dalla magistratura. Va tenuto presente che quando parliamo di magistratura, in Brasile, parliamo di un organismo che per decenni ha chiuso un occhio nei confronti di governi – sia regionali che nazionali – corrotti fino al midollo e verso l’illegalità ampiamente diffusa nel paese, mentre ora, curiosamente, si accanisce contro Lula e contro la Roussef.
L’elezione di Bolsonaro, uomo di estrema destra, nostalgico del periodo della dittatura militare brasiliana (1964-1985), segna sicuramente una pesante battuta d’arresto nella stagione progressista dell’America Latina del periodo a cavallo tra i primi anni 2000 e gli anni Dieci. Se non altro perché avviene nel paese di gran lunga più vasto e importante di quel continente.
Ma come è potuto accadere ciò?
Facciamo un breve excursus sulla storia recente del Brasile.
Dopo la fine della dittatura e del periodo dei governi liberisti, nel 2003 con la vittoria di Lula del PT (Partido dos Trabalhadores) per la prima volta il Brasile ha un governo progressista.
Le politiche economiche adottate da Lula sono di tipo socialdemocratico (una novità, considerando in generale il Brasile e l’America Latina). Quindi, prevalgono le misure sociali, e in modo particolare, il programma “fame zero”, per eradicare la fame dal paese.
In politica estera spicca l’allontanamento dagli USA, che si sostanzia con l’adesione al Mercosur (accordo commerciale con l’Argentina e altri paesi del subcontinente), a discapito dell’ALCA (voluto dagli Stati Uniti). Inoltre, il primo partner commerciale diventa la Cina e non più gli Usa, come era stato fino ad allora.
Lula è stato poi rieletto nel 2006, proseguendo ed approfondendo tali politiche.
Alle elezioni del 2010, non potendo ripresentarsi Lula, il PT ha candidato Dilma Roussef, voluta dallo stesso Lula, la quale ha proseguito le stesse politiche del suo predecessore ed è stata poi rieletta nel 2014.
Purtroppo, però, durante il periodo-Roussef l’economia brasiliana, dopo la fase florida degli anni precedenti, è entrata in crisi, risentendo della congiuntura internazionale. Ciò ha di sicuro contribuito ad un annacquamento del consenso sociale verso il PT e soprattutto verso la Roussef.
Gli ambienti conservatori, rendendosi conto che non sarebbe stato comunque facile ritornare al governo vincendo le elezioni – dato il forte consenso popolare del PT, solo in parte eroso dalla crisi economica – hanno mandato avanti la magistratura, la quale, con l’incriminazione della Roussef, è riuscita a farla dimettere, e, con le accuse a Lula, ha impedito a quest’ultimo di ricandidarsi alle ultime elezioni presidenziali. Si è trattato di fatto di un vero e proprio colpo di Stato giudiziario.
Da quando è andato al governo Bolsonaro, ovviamente, l’indirizzo della politica brasiliana ha mutato radicalmente segno, passando da quello precedente, di stampo socialdemocratico, ad uno improntato a principi di destra. In modo particolare, ha intrapreso azioni contro i diritti umani delle minoranze etniche. Inoltre, si preannunciano misure liberiste (tagli alle spese sociali, privatizzazioni, tagli alle pensioni, ecc.) da parte del ministro dell’economia Guedes.
In politica estera quest’ultimo governo sta promuovendo un processo di riavvicinamento agli Stati Uniti. Il che si concretizza, ad esempio, nella presa di distanza dal Venezuela bolivariano di Maduro, condannandolo e appoggiando il golpista Guaidò.
Gli sviluppi futuri del Brasile sono incerti e tutti da decifrare. Infatti il paese. tradizionalmente agricolo, negli ultimi decenni ha registrato una massiccia industrializzazione. Inoltre, è anche ricco di risorse minerarie, tra cui il petrolio, scoperto recentemente e oggi fa parte dei paesi del BRICS, avendo come primo partner commerciale, la Cina.
Se le intenzioni del nuovo governo sembrano essere quelle di ricreare un legame politico-economico con gli USA, a danno dei rapporti con la Cina e con il Mercosur, tale percorso, se verrà intrapreso, non sarà né semplice nè senza conseguenze economiche e politiche.