IRAN, SALE LA TENSIONE. PETROLIO, SALGONO I PREZZI

Le vicende accadute le scorse settimane (bombardamento delle navi petroliere, abbattimento del drone USA da parte dell’Iran, attacco a questo, deciso e poi sospeso all’ultimo da parte di Trump) segnano una preoccupante escalation nel possibile conflitto militare USA-Iran.

Stiamo parlando di una guerra, quella tra Teheran e gli Stati Uniti, che, se dovesse mai scoppiare per davvero, avrebbe conseguenze difficilmente prevedibili.

Infatti un conflitto del genere coinvolgerebbe inevitabilmente paesi come Israele e Arabia Saudita. E non solo perché sono alleati stretti di Washington, ma anche e soprattutto perché entrambe vedono Teheran come il fumo negli occhi, e per diversi motivi. Motivi politico-militari e geo-strategici, nel caso di Israele, ai quali si aggiungono motivi economico-commerciali, nonché religiosi, per quanto riguarda l’Arabia Saudita.

 

L’Iran, infatti, ha strettissimi rapporti con tutto il mondo sciita, presente a macchia di leopardo un po’ in tutto il Medio Oriente. E quando si parla di sciiti, si parla di formazioni del calibro di Hezbollah in Libano, capaci di tenere testa ad una potenza militare come Israele, oppure come quelle che in Siria hanno dato un contributo fondamentale nella sconfitta del terrorismo islamico (Isis in primo), o come quelle presenti massicciamente in Iraq, nonché quelle che nello Yemen stanno facendo vedere i sorci verdi all’Arabia Saudita.

Com’è noto, poi, con i sauditi l’Iran ha anche una rivalità economica, dato che entrambi sono produttori di petrolio. Senza contare, poi, la storica rivalità religiosa tra sunniti (facenti capo all’Arabia Saudita), e sciiti (rappresentati da Teheran).

Ma non finisce qui: il paese degli Ayatollah ha buoni rapporti sia con la Russia, che con la Cina. In caso di un attacco USA, entrambi i paesi potrebbero reagire in qualche modo. L’Iran non è la Libia, né tantomeno l’Iraq. E anche i tempi sono cambiati, e, con essi, i rapporti di forza a livello mondiale: l’intervento militare in Siria ha rimesso in sella Mosca, come potenza militare con cui fare i conti, mentre la Cina ha già dimostrato che, se vuole, è in grado di colpire e di far del male agli States, agendo a livello economico.

 

In ogni caso, sullo sfondo (ma neanche tanto) di tali tensioni c’è il discorso del petrolio. Dopo che negli anni scorsi il prezzo dell’oro nero s’era abbassato, ora i paesi produttori stanno tentando di contenerne la produzione, proprio per mantenere i prezzi stabili, se non di alzarli. Un contributo alla stabilizzazione (o al rialzo) di tali prezzi è dato, negli ultimi anni, anche dal fatto che tre importanti produttori di grezzo, Venezuela, Libia, e appunto l’Iran hanno dovuto ridurre fortemente le loro esportazioni, a causa della loro precaria situazione politica. Sanzioni USA, per quanto riguarda il Venezuela e l’Iran e la guerra, per quanto riguarda la Libia. In modo particolare, per quanto riguarda l’Iran, pesa la recente proibizione di commerciare con tale paese che Washington ha imposto a tutto il mondo, sebbene diversi paesi (Cina, Turchia, Russia e altri) hanno già fatto sapere che non si atterranno a tale diktat.

 

Ma le tensioni geo-politiche possono essere un’arma a doppio taglio per i prezzi del petrolio. Infatti, se queste, da una parte, riducono l’export di oro nero, aumentandone il prezzo, dall’altra parte finiscono per avere un impatto negativo anche sull’andamento dell’economia mondiale complessiva, determinando, così, un calo della domanda di grezzo, e, di conseguenza, del suo prezzo al barile.

In modo particolare i dazi che Trump sta imponendo alla Cina hanno un effetto deprimente sull’economia in generale. Forse è anche per questo motivo che il presidente degli USA, dopo aver fatto per mesi fuoco e fiamme contro Pechino, nella recente riunione del G20 ha tentato, viceversa, di riconciliarsi con Xi Jinping, bloccando, intanto, ulteriori dazi che aveva in mente e abolendo l’ostracismo che aveva imposto nei confronti di Huawei (noto colosso cinese delle telecomunicazioni).

 

Intanto alla riunione dei paesi Opec svoltasi il 1 e 2 luglio a Vienna, il presidente russo Vladimir Putin e il principe saudita Mohamed Bin Salman hanno raggiunto l’accordo di tagliare la produzione di petrolio di un milione e 200 mila barili al giorno. Gli altri paesi Opec dovrebbero convenire su tale accordo, per cui, il prezzo del petrolio dovrebbe subire un rialzo.

 

Ritornando all’Iran, nessuno è in grado di prevedere se – ed eventualmente quando – scoppierà una guerra vera e propria. Non è chiaro il motivo dell’attacco che sembrava imminente e poi, invece, “abortito” da parte di Trump.

Potrebbe essere che l’abbattimento del drone USA da parte della contraerea di Teheran abbia sorpreso ed impaurito il Pentagono (rispetto alle capacità difensive iraniane). Chissà.

Il dato certo è che i vertici degli Stati Uniti negli ultimi anni sono molto lontani dall’essere compatti. Anzi, è evidente che esiste una guerra neanche tanto sotterranea tra una parte dell’establishment americana, vicina alla Clinton e ai Neocons, e altre componenti rappresentate da Trump (lo stesso “Russia-gate” è un chiaro indice di ciò).

Ad ogni modo, la fase in cui lo Zio Sam era rimasto l’unica grande potenza mondiale e poteva fare il bello ed il cattivo tempo è definitivamente chiusa.