Nonostante i nostri mass-media da anni si sforzino a cercare col lumicino ogni minuscolo segnale che potrebbe, secondo loro, far pensare ad un arresto dell’ormai ultraventennale crescita economica della Cina, il paese asiatico prosegue tranquillamente nel suo sviluppo, mantenendo una crescita media attorno al 5%. Se consideriamo il fatto che in Europa siamo in media ben sotto l’1%, è evidente che stare lì a fare le pulci all’economia del Dragone ha poco senso.
E non si tratta più, com’è stato fino a più di un decennio fa, di una produttività a basso contenuto tecnologico, che risultava conveniente grazie al basso costo del lavoro (che peraltro in Cina si è molto elevato negli ultimi tempi, al contrario che da noi, dove questo è in continua discesa).
Oggi la Cina è sempre più all’avanguardia anche e soprattutto nella produzione high tech.
È in corso un processo di modernizzazione del paese, delle infrastrutture e persino dell’attenzione all’ecologia, che negli ultimi decenni ha fatto dei passi da gigante.
Tutto ciò non sarebbe stato possibile se il paese asiatico non fosse governato da uno Stato molto forte, in grado di dirigere l’economia, di controllarla, senza per questo far venire meno l’iniziativa privata, anche capitalistica, ma non permettendo che questa arrivi ad egemonizzare la politica, come invece accade in Occidente, dove è il grande capitale finanziario e le multinazionali a controllare sostanzialmente i governi.
Di questo e di altro si è discusso nel Terzo Plenum del 20° Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese, tenutosi a Pechino tra il 15 e il 18 luglio scorsi.
Al di là delle scontate proclamazioni e dei principi, le misure proposte sono comunque assai concrete e di ampio raggio.
Uno degli elementi più importanti è quello dello sviluppo tecnologico – scientifico, per una produzione sempre più moderna, innovativa e sempre meno dipendente, sotto quest’aspetto, dall’estero. Ciò implica anche immensi investimenti per l’istruzione, nonché l’ulteriore sviluppo e modernizzazione delle infrastrutture.
Non poca attenzione viene data anche alle problematiche di tipo ecologico.
Si tenterà di stimolare (ulteriormente) i consumi interni, tematica strettamente legata anche alla lotta alla povertà, su cui Pechino ha già fatto passi da gigante, riuscendo in pochi decenni a sradicare del tutto (o quasi) la povertà, che una volta affliggeva centinaia di milioni di persone.
Si cercherà anche di intervenire per ridurre gli squilibri tra città e campagna (e la tendenza allo spopolamento di quest’ultima).
Viene ribadita e rimarcata la necessità di tenere sotto controllo il “mercato”, ossia il capitalismo locale e di progredire verso il “socialismo di mercato compiuto”, con l’obiettivo di “bilanciare investimento e finanziamento”.
Intanto la Cina abbassa i tassi di interesse, proprio per favorire gli investimenti produttivi (il contrario di ciò che spesso accade da noi, dove l’attività finanziaria ha da tempo preso nettamente il sopravvento su quella manifatturiera).
Il Terzo Plenum non poteva ignorare le questioni internazionali e infatti ampio spazio viene dato alla necessità di sviluppare sempre più la BRI (Belt & Road Initiative, conosciuta da noi come la “Via della Seta cinese”), nonché i rapporti di collaborazione con gli altri paesi del mondo a vari livelli.
Ultima, ma non per importanza, è la questione militare.
Dopo aver ribadito con enfasi che l’esercito popolare deve rimanere in posizione subalterna al partito, anche qui si prevedono riforme propedeutiche alla modernizzazione della difesa nazionale e al miglioramento della sua organizzazione e funzionamento.
Il Terzo Plenum del Comitato Centrale del PCC cade in una fase in cui la Cina non è solo cresciuta economicamente in modo impressionante – cosa che ormai dovrebbero sapere anche i sassi – ma si sta sempre più caratterizzando come una grande potenza politica e a breve anche militare.
A livello internazionale la sua influenza è cresciuta in modo irresistibile e non solo in Asia, ma anche in Africa e in America Latina, grazie anche al BRICS+ (è di questi giorni la notizia che Hamas e Fatah – più altre formazioni palestinesi – che da decenni si contrastavano anche con violenza, hanno finalmente siglato un accordo storico. E questo a Pechino).
Ciò è dovuto soprattutto al diverso modo di intendere le varie partnership economiche. Infatti, a differenza dei paesi occidentali – i quali hanno sempre adottato una logica “gerarchico – coloniale”, e imposto ai paesi del cosiddetto “Terzo Mondo” un commercio impari e, complici le istituzioni finanziarie mondiali (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale), li hanno strozzati col debito pubblico – il Dragone tratta questi paesi da pari a pari, rendendosi spesso protagonista nella costruzione di infrastrutture in loco.
“Chi troppo vuole nulla stringe”, recita un noto proverbio.
La Cina, che, va detto, non ha mai “voluto troppo” (soprattutto a livello di rapporti internazionali), ora ha la possibilità di fare un “en – plein” e di scalzare definitivamente il vecchio ordine mondiale, basato sull’egemonia dei paesi europei prima e degli USA dopo.
Sperando che, per fermare l’ascesa della Cina e del multipolarismo, non si arrivi ad una guerra mondiale dagli esiti devastanti.