L’attentato mortale statunitense al generale iraniano Qassem Soleimani, avvenuto a Baghdad (capitale dell’Iraq), rappresenta senz’ombra di dubbio un’ulteriore e pesante escalation in una zona del mondo, come il Medio Oriente, già da parecchi anni fin troppo “calda”.
Un missile americano ha colpito Soleimani nell’aeroporto di Baghdad. Un atto che non si può definire altrimenti che di terrorismo e in violazione ai basilari principi del diritto internazionale.
Il gesto è particolarmente grave, dal momento che, come è noto, Soleimani non era un semplice generale, bensì una figura di primo piano e un pezzo grosso della diplomazia iraniana, capo delle milizie Al Quds, e grande protagonista della guerra all’Isis (Daesh, lo “Stato islamico”), nonché della sconfitta di quest’ultimo.
Un simile attacco, tra l’altro, costringe l’Iran a reagire con forza.
E infatti, la prima reazione di Teheran – per il momento solo verbale – non si è fatta attendere, con l’invito agli americani a “preparare le bare” (per i loro soldati). Il rischio di una guerra di dimensioni molto più ampie di quelle dei decenni scorsi e dagli esiti imprevedibili – ma di sicuro devastanti – ci sta tutto.
Questo attacco cade in un contesto dove già era in atto un’escalation, un’esasperazione delle tensioni da parte di Washington.
Alla storica ostilità americana nei confronti dell’Iran, fin dai tempi della rivoluzione degli Ayatollah, si sono aggiunte recentemente altre questioni, come il ritiro unilaterale USA dagli accordi sul nucleare con l’Iran e l’imposizione di sanzioni sempre più gravose al commercio di questo paese con tutti gli altri, di cui s’è già parlato in precedenti articoli.
Ciò per quanto riguarda il solo Iran. E che dire degli altri paesi limitrofi del Medio oriente, reduci da anni ed anni di guerre e di tensioni varie, prodotto soprattutto dell’interventismo yankee e dei suoi alleati locali (Israele, Arabia Saudita, Turchia), e non locali, come ad esempio la Francia e GB? Mi riferisco ovviamente all’Afghanistan, all’Iraq – dove è avvenuto materialmente l’attentato a Soleimani – alla Libia e alla Siria. Ma conflitti e tensioni sono ampiamente presenti, da decenni, anche in Libano, per non parlare della brutale e sanguinosa repressione del popolo palestinese da parte dei governi sionisti di Tel Aviv.
Altro che “polveriera”.
Già si odono, all’interno di una parte della “sinistra” italiana, le reazioni indignate alla grave provocazione degli USA, le quali, però, si limitano a prendere di mira il solo Trump, quasi a lasciar intendere che l’azione in sé – e, in generale, l’aggravamento delle tensioni e il rischio di una guerra – siano opera soltanto di un “pazzo sconsiderato”, naturalmente di destra.
Purtroppo non è così.
Non ci dimentichiamo, intanto, che la guerra in Libia e l’attacco (anche se per lo più indiretto) alla Siria sono partiti sotto la presidenza di Obama e che Trump, all’interno degli States, viene fortemente attaccato proprio per la sua politica di pacificazione con la Russia (quest’ultima è alleata dell’Iran e negli anni scorsi hanno collaborato assieme per difendere la Siria dalle varie formazioni jihadiste). Quindi, credere che un governo americano in mano ai democratici sarebbe stato più “responsabile” o “pacifista” è una mera illusione.
Gli USA, infatti, si trovano in una fase di palese perdita di un’egemonia a livello mondiale che fino a poco fa sembrava incontrastata. Tale declino è anche il prodotto della crisi economica, riapparsa con forza dal 2007/08.
La tendenza alla guerra, quindi, non ha nulla a che fare con la presunta “follia” di Trump, ma è ben radicata nell’establishment americano, nel cosiddetto “Stato profondo” (“deep state”), ed è strettamente connessa alle grandi lobbies economiche.
L’aggravamento delle tensioni con l’Iran, inoltre, è solo un tassello nella più ampia lotta per il controllo di una regione strategica come il Medio Oriente. E su questo Washington è, da parecchi anni, in lotta contro la Russia, e, sempre più, anche contro la Cina. Non a caso l’Iran è un paese chiave nello sviluppo della “Via della Seta” cinese.
Il rischio di una guerra di dimensioni sicuramente molto più ampie e gravi di quelle precedenti nel Medio Oriente, come già detto, è altissimo. Al momento è difficile prevedere gli sviluppi di tale grave atto terroristico (non si può definire altrimenti) degli yankees. Ad ogni modo, la rappresaglia è già partita con il bombardamento missilistico di due basi Usa da parte iraniana.
Intanto, sta accadendo un evento assai significativo: il parlamento iracheno ha deciso in maggioranza di cacciare via tutti i militari americani dal suo territorio. Ora, se teniamo presente la geografia della zona, notiamo come il territorio dell’Iraq sia altamente strategico nel caso di un’eventuale futura guerra contro Teheran. Anche perché la Turchia, nonostante rimanga ancora formalmente un paese NATO, difficilmente si presterebbe a dar manforte a Washington.
Doversene andare via dall’Iraq – o anche solo sapere di essere indesiderati e quindi rischiare attacchi anche da parte delle milizie locali – indebolirebbe non poco la posizione americana nella regione.
Prevedere quali saranno gli scenari futuri, al momento, è prematuro.
Ma una cosa sembra certa: la pace si sta facendo sempre più lontana.