Il corteo per la pace di sabato scorso è stato un momento di rottura importante.
La piattaforma ambigua rispetto alla necessaria spinta per richiedere un cessate il fuoco, il negoziato e il blocco all’invio delle armi è stata superata dall’anima dei partecipanti. Slogan, striscioni, clima erano per una posizione radicale contro la guerra e, in molti spezzoni della manifestazione, di critica alla Nato.
Certamente la piattaforma “aperta” ha permesso a Letta di stare in piazza impostando una finta dialettica di scontro con la manifestazione di Milano dichiaratamente filo ucraina e per l’ulteriore sostegno militare a Kiev. I media hanno giocato su queste ambiguità, presentando con lo stesso peso le posizioni espresse dalle oltre centomila persone di Roma e dalle poche centinaia di Milano. Inoltre, le posizioni di sostegno a Kiev a Roma erano assolutamente minoritarie. Ma la propaganda di guerra non conosce sosta.
Il fatto che il Movimento cinquestelle e Conte, a cui va ascritto il merito di aver sostenuto il corteo ed espresso esplicitamente la richiesta di blocco dell’invio delle armi, abbiano avuto un ruolo importante non v’è alcun dubbio. Tali interlocutori, però, non possono e non debbono rimanere gli unici e per questo la presenza organizzata di forze come Unione Popolare o di quella stessa sinistra che sta interagendo con il Movimento Cinque Stelle è, per ora soprattutto sul piano dei contenuti, fondamentale. La fatwa espressa da Conte contro Tajani Ministro degli Esteri, a causa delle posizioni espresse da Berlusconi sulla vicenda ucraina, è, infatti, solo un esempio di quanto sia flebile e poco solida questa parte politica. I contenuti espressi da chi promuoverà le prossime mobilitazioni dovranno essere all’altezza di quelli espressi dalla piazza per impedire confusione e giochi di posizionamento che permettano ad alcune forze di giocare più parti in commedia. Possiamo essere certi che alcuni, se al governo non ci fosse stata la Meloni, sarebbero certamente rimasti a casa.
Ora, ad una settimana dall’evento di Roma, la guerra è ad un punto di svolta e la voce di chi vuole davvero il negoziato dovrebbe alzarsi ancora di più. Aldilà della propaganda sulle scene di vittoria ucraina, il ritiro da Kherson rappresenta un segnale importantissimo che la Russia sta dando perché il tavolo si apra. La coincidenza con le elezioni di Midterm negli Usa probabilmente non è un caso, come dimostra la dichiarazione del Capo di Stato Maggiore americano che afferma senza mezzi termini: “Bisogna cominciare a trattare, l’alternativa somiglia pericolosamente al 1915”. Seppure la mezza vittoria dei dem americani abbia potenzialmente raffreddato la spinta al negoziato, gli Usa potrebbero “accontentarsi” di aver creato ormai un solco profondo tra Russia ed Europa e aver costruito le basi per la definizione di blocchi in uno dei quali loro rappresentano il perno. Anche per loro, insistere troppo potrebbe aprire contraccolpi significativi nel fronte occidentale, come dimostra il viaggio in Cina del Premier Scholz già trattato in questa rivista. Per ora, gli unici a non dare segnali di voler almeno un “cessate il fuoco”, con toni trionfalistici e di sfida, sono gli Ucraini e il loro Premier Zelensky.
Non sappiamo come evolverà la situazione. L’arrivo dell’inverno è certamente un nodo cruciale e sarà pesantissimo per una parte rilevante della popolazione ucraina, vista la distruzione di moltissime infrastrutture strategiche, ma anche questo pone tutti gli attori in campo davanti ad un bivio.
Per verità va anche aggiunto che qualunque equilibrio si troverà non sarà stabile. I rumori di sciabole sono molto potenti e il Rubicone della guerra tra potenze è stato purtroppo oltrepassato con questo conflitto. L’aggressività targata Usa e Nato continuerà nel tentativo di arginare la perdita di dominio sul piano globale a scapito in primo luogo della Cina. La definizione di blocchi contrapposti è la pericolosa premessa per uno scontro mondiale. Proprio per questo, la chiarezza delle posizioni su questo conflitto e sulla guerra è e sarà fondamentale anche nel medio e nel lungo periodo: quello che stiamo vivendo è solo l’antipasto di ciò che ci aspetta nei prossimi anni e chi vuole la pace deve continuare a gridarlo sin da ora.