Al momento in cui scrivo, sulla scena mondiale sono in corso due guerre di una certa entità: quella in Ucraina e quella nella Striscia di Gaza (ce ne sarebbero altre, per la verità, ma di significato geo – strategico non altrettanto importante).
L’elemento significativo della fase attuale è che mentre la prima, quella in Ucraina, sta per essere perduta da Kiev e quindi tutto lascia pensare che si arriverà tra non molto a trattative e dunque alla sua conclusione, quella in Medio Oriente, viceversa, appare in piena escalation e non si può affatto escludere che questa, dalla Striscia di Gaza, non si possa estendere anche ad altri paesi, come pure in Cisgiordania. Non solo: c’è anche il rischio che si possa aprire un terzo fronte, dal momento che gli USA stanno sempre più agitando la questione – Taiwan.
Cominciamo dall’Ucraina.
È davvero incredibile come, a partire dal 7 ottobre, ossia dallo scoppio del conflitto nella Striscia di Gaza, le notizie sulla guerra in Ucraina, un tempo martellanti, abbiano subito un oscuramento quasi totale sui nostri quotidiani e telegiornali e come il volto di Zelensky, fino a poco fa onnipresente, sia semi – scomparso dalle scene. Lo scoppio del conflitto a Gaza spiega solo in misura minima questo mutamento.
La messa ai margini a livello mass – mediatico della guerra in Ucraina è dovuta sostanzialmente all’andamento di questa, tutt’altro che favorevole all’Ucraina. In modo particolare la grande controffensiva delle forze di Kiev, da mesi preannunciata con enfasi, e che avrebbe dovuto portare alla riconquista di tutte regioni occupate dai russi, dal Donbass, a Zaporizzja alla Crimea, si sta rivelando un totale fallimento. A ciò si aggiunge l’esito delle sanzioni economiche alla Russia, le quali, lungi dall’aver piegato Mosca, stanno creando sempre più problemi ai paesi europei, a incominciare dalla Germania.
Ciò suscita un enorme imbarazzo in Occidente. Infatti la ormai molto probabile sconfitta dell’Ucraina è a tutti gli effetti una sconfitta della NATO, se pensiamo al pesante coinvolgimento – economico, militare e politico – dei relativi paesi. Siamo arrivati a un punto in cui un numero crescente di paesi europei non è più disponibile a cedere altre risorse per sostenere materialmente l’Ucraina e si incomincia a parlare in modo sempre più aperto e insistente di trattative con la Russia, che fino a poco fa sembravano tabù.
C’è anche un problema di “faccia”: dopo che per quasi due anni i nostri mass – media hanno fatto la voce grossa sulla necessità che la Russia andava sconfitta a tutti i costi, ora non è semplice fare dietrofront e ammettere di aver fallito.
Striscia di Gaza.
L’attacco di Hamas il 7 ottobre scorso a Israele e la reazione pesantissima di Netanyahu, che sta portando avanti un vero e proprio sterminio di massa della popolazione palestinese in un pezzo di terra paragonabile per superficie alla metà del Comune di Roma e con una densità abitativa enorme, sembrano caduti a fagiolo per bypassare, agli occhi dell’opinione pubblica, la questione ucraina.
Ma, al di là del discorso mediatico, l’impressione è che la guerra nella Striscia di Gaza sia, mutatis mutandis, in qualche modo la stessa guerra che si sta combattendo in Ucraina; vi è stato soltanto un cambio di strategia e di fronte (e in parte di attori). Il fatto stesso che i paesi che finora hanno sostenuto l’Ucraina, ossia quelli occidentali, siano sostanzialmente gli stessi che ora appoggiano l’operato di Israele (o quantomeno non lo condannano) sembra dare consistenza a questa sensazione.
Quest’ultimo conflitto infatti non è da intendere come un problema meramente locale e limitato a Israele e alla Striscia di Gaza, ma ha implicazioni assai più ampie e infatti si trova in una fase di escalation e i tentativi di allargarlo alla Siria, al Libano e soprattutto all’Iran – che è una potenza regionale di tutto rispetto – sono all’ordine del giorno. Rischia di diventare una guerra devastante per tutto il Medio Oriente. E colpire il Medio Oriente significa anche indebolire, se non bloccare, la costruzione della Via della Seta cinese.
Ciò che rende simili la guerra in Ucraina e quella in Medio Oriente (per ora limitata sostanzialmente a Gaza) sono gli schieramenti a livello mondiale. Sebbene questi non siano del tutto identici, vi è comunque una convergenza abbastanza netta.
Particolarmente significativa è la presa di posizione dei paesi del BRICS, organismo che peraltro a partire dal prossimo gennaio si allargherà ad altri cinque importanti paesi (erano sei, ma l’Argentina con ogni probabilità sembra destinata a defilarsi), diventando BRICS+. I paesi principali di quest’organismo, infatti – Russia a parte ovviamente – già si erano mantenuti neutrali durante la guerra in Ucraina, contravvenendo alle potenti pressioni degli USA a farli schierare contro la Russia, e non hanno adottato le sanzioni contro di essa.
In un recente vertice il BRICS ha pronunciato una condanna nei confronti della politica israeliana di deportazione della popolazione di Gaza, accusandola di crimini di guerra e invocato la cessazione delle ostilità. Una posizione in netto e aperto contrasto con quella degli USA. E comunque è significativo il fatto stesso che per la prima volta questi paesi abbiano preso una posizione proprio in quanto BRICS. È un termometro del mutamento nei rapporti di forza a livello mondiale, che poi è proprio il motivo per cui sono scoppiate queste guerre. Ossia i paesi del BRICS – segnatamente la Cina e la Russia – stanno lavorando per la realizzazione di un nuovo ordine mondiale multipolare, contrapposto a quello dei decenni scorsi post ’89, che vedeva gli States come unica superpotenza mondiale che dettava le regole del gioco in modo sostanzialmente incontrastato. Quest’ultima ovviamente non ci sta e reagisce a livello militare, coinvolgendo soprattutto i suoi alleati.
Come avevamo accennato all’inizio, se ora ci troviamo con due guerre (di una certa consistenza), c’è sempre la possibilità che si possa aprire un terzo fronte, questa volta diretto contro la Cina, usando come pretesto la questione irrisolta di Taiwan. Com’è noto Pechino considera l’isola sua dirimpettaia come terra cinese e che dovrà necessariamente prima o poi essere riunificata con il resto della Cina e, almeno formalmente, un po’ tutti gli altri paesi riconoscono ciò. Tuttavia Washington continua a provocare la Cina su Taiwan.
Potrebbe scoppiare una nuova guerra?