VERTICE DI RYAD, IN CRISI IL RAPPORTO USA – EUROPA

Il mondo sta cambiando.

Che, detto così, sembra solo una frase fatta, ma forse mai quanto in questa fase essa corrisponde al vero. La storia d’altronde ci ha insegnato che periodi anche lunghi di apparente stasi, si alternano a periodi che segnano un’improvvisa e brusca accelerazione di alcune dinamiche già latenti. E quello che stiamo vivendo assomiglia a questi ultimi.

Ci sono alcuni eventi che se, da una parte, sono il prodotto di tale accelerazione, dall’altra la sanciscono e contribuiscono a velocizzarla ancora di più.

 

Questo è senz’altro il caso del vertice che si è tenuto nei giorni scorsi nella capitale dell’Arabia Saudita, Ryad. Vertice ad alto livello in cui hanno partecipato il ministro degli esteri della Russia, Sergej Lavrov, e il segretario di Stato Americano, Marco Rubio.

Oltre a loro due, nelle delegazioni erano presenti anche due elementi di grande spessore economico: Steve Witkoff, grande uomo di affari statunitense e Kirill Dmitriev, del Fondo statale russo per investimenti. A dimostrazione di come le questioni economiche siano di fondamentale importanza nella questione della guerra in Ucraina e ancor di più nel tentativo di ristabilire i rapporti tra USA e Russia.

 

L’importanza di questo vertice è data da diversi fattori.

Intanto costituisce un grosso passo verso il riallacciamento dei rapporti diplomatici tra Russia e Stati Uniti, dopo anni di ostilità.

Non è cosa da poco, dopo anni in cui Washington ha fatto di tutto per isolare i russi a livello mondiale, alimentando tensioni in diversi modi, con le sanzioni, le condanne, e soprattutto con l’invio di armi a Kiev (e, sottobanco anche di altro, tra cui preziose informazioni di intelligence).

Poi ci sono altre questioni, legate certo al conflitto in Ucraina, ma che vanno ben oltre questo.

 

Per quanto riguarda la guerra in Ucraina questo è il primo tentativo serio di andare ad una trattativa per la cessazione delle ostilità, già da tempo promesso da Donald Trump. Un tentativo figlio dell’andamento di questo conflitto. La favoletta del nuovo presidente statunitense, visto come uno influenzato dai russi, nasconde l’incapacità di ammettere un dato di fatto che ogni giorno si fa sempre più evidente: la Russia sta vincendo la guerra.

 

Dopo anni e anni in cui tutti i più importanti leaders occidentali – gente come la Von der Leyen o Mario Draghi, per intenderci – non solo avevano puntato tutto sulla “sconfitta strategica” di Mosca, ma la davano anche per sicura, una simile constatazione ha come minimo effetto quello di mettere in dubbio le capacità e quindi l’autorevolezza di questa classe dirigente.

Ora con Trump la musica sta cambiando, almeno negli States. Dal momento che è da escludere che quest’ultimo sia un pacifista convinto, l’unica spiegazione è che il “tycoon” ha compreso bene ciò che gli altri politici occidentali non capiscono, o più probabilmente non vogliono capire, e cioè che andare ad uno scontro frontale con Putin, soprattutto dopo l’esito del conflitto ucraino, è perdente e soprattutto pericoloso.

D’altronde la vecchia strategia di Trump è sempre stata quella di tentare di dividere la Russia dalla Cina – considerata il vero nemico strategico degli Stati Uniti – e di andare allo scontro soprattutto con quest’ultima.

Non sappiamo se il neo-presidente USA intenda proseguire con questa strategia. Nel caso fosse, sarà tutt’altro che semplice, considerando che non solo Mosca e Pechino hanno ulteriormente rinsaldato i loro legami negli ultimi anni, ma la seconda nel frattempo si sta enormemente rafforzando anche a livello militare, oltre che tecnologico. Non sarà una passeggiata contrastarla.

 

Ma la ricerca della pace in Ucraina, e soprattutto il modo come Trump la sta portando avanti, ha dei profondi risvolti per quanto riguarda i rapporti con l’Europa.

Che dietro l’apparente unanimismo di facciata tra i paesi della NATO si celassero interessi differenti, era già emerso sotto la presidenza di Biden (esemplare è stata la distruzione del gasdotto Nord Stream II): Washington in questi anni ha usato la guerra in Ucraina per spezzare i legami tra i paesi europei e la Russia, a tutto danno dei primi.

Ora però emerge un fatto nuovo, ossia un atteggiamento sempre più palesemente ostile nei confronti degli europei, che il neo-presidente USA non nasconde.

Gli accordi che il “tycoon” sta incominciando a prendere con Putin, escludono Bruxelles, nonostante l’enorme impegno che quest’ultima ha dato in armi, in soldi e in sanzioni contro Mosca. L’atteggiamento tenuto dai paesi europei negli ultimi anni, ossia quello di appiattirsi sulle politiche di Washington, nella speranza di ottenere dei vantaggi una volta “sconfitta la Russia”, sta incominciando a dare i suoi frutti avvelenati. La sconfitta dell’Ucraina, invece che di Mosca, sta producendo un clima da “si salvi chi può”, in cui gli Stati Uniti, che sono ovviamente più forti, stanno scaricando gli europei.

 

Dal canto loro, i paesi europei stanno reagendo nel modo forse peggiore possibile.

L’indignazione per l’esclusione dalle trattative tra USA e Russia – dopo anni di allineamento quasi totale a Washington – ha spinto Bruxelles a creare quasi una sorta di “contro-vertice” a Parigi, dove si sono visti i leaders di Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, Spagna, Polonia, Olanda e Danimarca, con l’intento quantomeno di dire “ci siamo anche noi”. Purtroppo ciò che è emerso in quest’ultimo vertice non è l’unità, ma, al contrario, le divisioni che esistono tra gli europei, in modo particolare sull’invio di soldati in Ucraina.

Per il resto assistiamo a reazioni nervose e compulsive, in cui non pochi continuano (ancora) a dire che “bisogna sostenere l’Ucraina, fino alla vittoria”, come se finora si fosse fatto altro.

 

Nessuno ha la palla di vetro, ma tutto lascia pensare che il comportamento di Trump nei confronti dei paesi europei avrà un qualche effetto sulla NATO e sull’Unione Europea, anche se al momento non è chiaro quale.

Una cosa appare certa: l’europeismo e l’atlantismo escono fuori indeboliti da questi eventi.